Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.

Editoriale sulla violenza di genere

In numeri

*Nota: Questo articolo utilizza riferimenti e parametri strettamente binari rispetto al genere, perché è l’unica forma di dati disaggregati per genere che esistano presso l’Istat. Non si vuole in alcun modo escludere le esperienze delle soggettività.

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne. In un mondo in cui viene messo in discussione un diritto fondamentale come l’aborto, in cui la parola di una donna vittima di violenza viene sminuita o addirittura ascoltata troppo tardi, in cui non esiste la cultura del consenso, in cui avere il ciclo è un lusso, cui ci fischiano, molestano, toccano, stuprano, picchiano, usano e umiliano: essere tranfemministɜ è il principio culturale fondante su cui costruire la lotta per un nuovo mondo. Il sistema patriarcale che viviamo quotidianamente legittima, giustifica, minimizza ed educa alla violenza di genere, che diventa sistemica e soprattutto istituzionalizzata. Come Rete della Conoscenza e LatoB Milano riteniamo che intervenire, ma soprattutto proporre una alternativa, sia più che necessario. Per questo 25 Novembre abbiamo voluto denunciare una realtà ben lontana da quella narrata dai media, dimostrando con i dati che la violenza di genere, non solo fisica, è un fattore endemico all’interno di questo sistema.

L’Osservatorio nazionale di Non Una Di Meno nel 2022 ha registrato 91 casi di femminicidi, lesbicidi e transcidi. Nello specifico 82 femminicidi, 3 transcidi, e 6 suicidi indotti dalla violenza patriarcale e omolesbotrans*fobica.
A livello territoriale, i casi sono avvenuti in 53 provincie italiane e in 78 città diverse.Per quanto riguarda i numeri si registra che la più giovane aveva 15 anni e la più anziana 94, con un’età media di 52 anni. Inoltre, si osserva che almeno 5 figlз minori sono statз uccisз dai padri per vendetta nei confronti delle madri/mogli/compagne, tra questi la vittima più giovane aveva 3 anni. Infine, sono almeno 10 le persone uccise insieme alle donne, considerate effetti collaterali della stessa violenza di genere e del sistema patriarcale.
Si evince che l’omicidio non è in nessun caso un momento di raptus o di perdita del controllo ma è a tutti gli effetti un’azione premeditata, gli uomini maltrattanti sono uomini comuni e non come vengono dipinti dai media come stranieri e persone psicologicamente instabili, teorie volte unicamente a salvare e giustificare il nostro sistema. Si osserva, infatti, come in 66 casi, l’assassinə era una persona a stretto legame con la vittima, ex partner, partner, figlз e padri. La caratteristica ricorrente delle violenze di genere è la relazione con la vittima.
Inoltre è stato registrato dall’Osservatorio che ci sia stato almeno un caso di violenza o stupro prima dell’omicidio e almeno otto casi con denunce e segnalazioni per violenza o persecuzione nei mesi precedenti ad esso. Dunque, per Continuum di violenza, non si intende solo la continuità temporale e l’omicidio in sé ma anche il collegamento tra queste che creano cumulazione, rendendo doppiamente più umiliante e dolorosa la successiva violenza, che sia psicologica o fisica, fino ad arrivare, in 91 casi, all’omicidio.

In Italia, rispettando quanto sancito dalla convenzione di Istanbul (ovvero la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), esiste un numero di pubblica utilità, il 1522 per aiutare le vittime di violenza. È un numero attivo 24 ore al giorno, in 4 lingue che garantisce l’anonimato, fornendo primo soccorso in situazioni di emergenza e dando indicazioni sui servizi attivi sul territorio. Nel 2020, il numero di chiamate (o messaggi a questo numero) è quasi raddoppiato rispetto al 2019, aumentando ancora poi nel 2021.
Lɜ espertɜ non vedono in questo dato un aumento così netto dei casi di violenza (anche se sicuramente la pandemia ha portato a un aumento) ma quanto una maggior consapevolezza degli strumenti di contrasto alla violenza che vengono messi a disposizione nel nostro paese. Questo evidenzia quanto sia fondamentale la costruzione di una cultura che non normalizzi la violenza, fornendo gli strumenti a tuttɜ per riconoscerla, combatterla e uscirne. 

Benché la gran parte delle violenze avvengano in ambienti famigliari, da parte di persone conosciute dalle vittime, il tema della sicurezza nello spazio pubblico, reale o percepita, è una delle chiavi fondamentali di emancipazione. La paura di subire aggressioni porta a una modifica del comportamento (cambiare strada, cambiare vestiti, cambiare orari) spinta da due ragioni: il timore dell’aggressione in sè e il timore che, in caso di aggressione, venga detto “se l’è cercata”.
Il patriarcato permea così a fondo la nostra cultura che è stato sia interiorizzato, portando a un’autocensura dei luoghi, dei tempi e dei modi in cui si può vivere lo spazio pubblico se non sei uomo cis etero bianco, una prigione in cui non è nemmeno più necessaria la sua presenza per limitare quella delle altre categorie. Il patriarcato determina quali comportamenti sono accettabili in pubblico, in quanto rientranti nei ruoli di genere da lui imposti, se si superano questi paletti si rischia di non essere più riconosciute come “vittime”, nel caso di aggressione, perché si erano superati i confini di comportamento e presenza “legittimi” determinati dal proprio genere, età, etnia, classe e orientamento.
Questo clima di terrore porta ad avere meno donne e categorie discriminate in strada, generando un circolo vizioso con la percezione di insicurezza, a cui la politica dà una riposta securitaria centrata sulla criminalizzazione e le forze armate, mentre l’autodifesa è l’autodeterminazione.

Dal questionario “Il genere e l’uso della città” (2021) è emerso come, mentre di giorno il dato sia pressoché identico, di notte la percezione di insicurezza si attesti al 16% negli uomini, e il 50% nelle donne.
Nella popolazione femminile il 60% ha subito una violenza di genere (fisica o verbale) almeno una volta nella vita, il 40% negli ultimi 5 anni, un dato, quest’ultimo che sale se si restringe il campo al chi è tra i 18 e i 25 anni, portandolo al 61%.
Mentre nelle violenze domestiche si attesta un’età più matura, tra le persone andate al pronto occorso per violenza (di genere) in uno spazio pubblico il 21% era minorenne, il 33% aveva tra i 18 e i 25 anni e il 23.3% tra i 25 e i 35, il 77.5% quindi aveva meno di 35 anni.

La violenza di genere non si ferma agli atti di violenza fisica ma si caratterizza anche con un sistema economico che marginalizza le donne e altre soggettività diverse dal maschio bianco etero cis. 
Secondo il ‘Global Gender Gap Report 2022’ procedendo a questa velocità ci vorranno ancora 132 anni per colmare la parità tra uomini e donne a livello globale (60 per raggiungere la parità in Europa). Il GGGP valuta 4 parametri: Economic Participation and Opportunity, Political Empowerment, Educational Attainment, and Health and Survival ed è nei primi due che l’Italia riporta i dati peggiori, la partecipazione all’attività lavorativa e politica delle donne, posizionandosi al 63esimo posto mondiale (e al 25° su 35 in Europa). 
Una delle sue forme più evidenti di violenza economica è il gap salariale: in Italia in media una donna guadagna 2 mensilità l’anno in meno di un uomo (come se da novembre in poi le donne lavorassero gratis!). 
Il divario retributivo di genere non significa solo differenza di retribuzione a parità di lavoro, ma anche che, nell’attuale mercato del lavoro, i lavori più pagati sono quasi esclusivamente svolti dagli uomini, quelli meno pagati dalle donne. Sempre dal GGGR è possibile vedere infatti che le donne ricoprano poco più del 30% dei ruoli di leadership a livello globale, in Italia ad esempio solo il 15,3% delle aziende ha top manager donne. 

Secondo il report ISTAT su i livelli di istruzione e ritorno occupazionale nel nostro Paese, nel 2021 tra le persone con un titolo terziario la percentuale di persone tra i 25 e i 34 anni con una laurea STEM (ovvero nelle aree disciplinari scentifico-tecnologiche) è circa il 24 %, questo dato varia molto rispetto al genere delle persone laureate, se per gli uomini ammonta circa a un laureato su tre (33,7%) per le donne resta del 17,6% circa una laureata su sei. 
Questo dato è evidenziato, anche nel report ufficiale, come sia figlio di stereotipi di genere che, fin dalla prima infanzia, relegano le donne ai ruoli di cura.
Si aggiunge all’educazione anche una narrazione mediatica che spesso racconta i lavori delle donne nelle STEM enfatizzando il genere delle protagoniste, come se di per sé fosse sensazionale non tanto il fatto in questione ma che a lavorarci sia stata una donna, senza mai mancare di tratteggiare la sua figura calcando la mano su quanto questa comunque aderisca agli stereotipi di genere.
Per questo motivo di queste donne finiamo spesso per conoscere solo i nomi, quando non i soprannomi (è il caso di Samantha Cristoforetti ribattezzata AstroSamantha) se sono madri o dove lasciano la propria prole durante le loro imprese .
Quello che viene definito il gender confidence gap, ovvero il divario di sicurezza basato sul genere, che diverse donne vivono durante la scelta del proprio percorso di studi, immaginando di non essere all’altezza per determinate aree disciplinari, si rispecchia anche in un mondo del lavoro che non punta su di loro per queste stesse aree. Secondo il report ISTAT i punti di divario tra il ritorno occupazionale di donne e uomini che hanno lo stesso titolo di laurea nelle STEM è nell’area “scienze e matematica” è inferiore di otto punti e nell’area “informatica, ingegneria e architettura” di circa nove punti.
Questo conferma che gli stereotipi da combattere non riguardano solo il modello educativo, ma anche il mondo del lavoro.

Benché il congedo di maternità sia uno dei più tutelanti in Europa (in termini di tempi, obbligatorietà e indennità), quello di paternità e parentale facoltativo sono tra i più arretrati, andando a sottolineare una cultura e visione del mondo per cui la cura della prole è compito esclusivamente femminile. Mentre le madri hanno 147 giorni di congedo e compenso all’80%, con divieto di lavorare se non sono libere professioniste e indipendentemente da quando hanno cominciato a lavorare per l’azienda o ente, i padri hanno 10 giorni obbligatori, non continuativi, il minimo richiesto dall’UE.
Al contrario, la Spagna nel 2021 ha esteso il congedo di paternità a 112 giorni compensati al 100%; in Germania pur non essendoci uno statuto, i padri possono prendere fino a 14 mesi, con un compenso ridotto, e non possono essere licenziati per questo; infine, in Svezia non c’è distinzione tra maternità e paternità ed entrambi i genitori hanno diritto a un cumulativo di 480 giorni da spartirsi, con un 90 giorni assegnati di default a uno dei due e non trasferibili. 
Il congedo parentale si è mostrato estremamente efficace per il mantenimento dell’impiego dopo lo svezzamento, facilitando il ritorno al lavoro soprattutto delle madri.
Riteniamo fondamentale che ogni persona possa vivere la genitorialità come meglio crede, dal cosiddetto “genitore a tempo pieno” al lavoro full-time, ma dando a tuttз una reale possibilità di scelta anche attraverso congedi parentali estesi che permettano a tuttз di essere genitori.

La libertà di scelta delle donne viene attaccata anche quando viene loro impedito di abortire, un’altra forma di violenza. Com’è possibile che succeda se in Italia abbiamo una legge che dovrebbe tutelare l’aborto? Con un elevatissimo numero di medicɜ obbiettorɜ, che in alcune regioni supera il 90% e che in media è al 70%. Ci sono diverse strutture sanitarie che presentano il 100% degli obiettori, in particolare, uno studio ha rilevato che su 180 strutture che hanno risposto alla richiesta di dati, sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) quelle con il 100% di obiettori, mentre quelle con una percentuale di obiettori superiore all’90% sono quasi 50 e quelli con una percentuale superiore all’80% sono oltre 80.
Caso eclatante, che rispecchia quanto, nella realtà dei fatti, l’aborto non sia nè garantito nè tutelato in Italia è quello del Molise dove c’è un solo medico non obiettore per un’intera regione, che tra l’altro sarebbe già dovuto andare in pensione nel 2021. 
Tutto questo non dovrebbe essere possibile visto che la 194 vieta l’obiezione di struttura, ovvero, ospedali che impediscano in toto di abortire.
Questo costringe le persone che vogliono interrompere la gravidanza a dover spostarsi di città, provincia o regione, rendendo ciò che è un diritto praticabile solo da persone che possono spendere soldi e tempo, quindi non possiamo parlare più di un diritto, visto che non è garantito a tuttɜ, ma di un privilegio. 

La violenza maschile sulle donne permea tantissimi ambiti della nostra vita, femminicidi e violenze fisiche sono solo la punta dell’iceberg di quelli che sono tutti gli strumenti di cui il patriarcato dispone per controllare i corpi delle donne. Serve una profonda rivoluzione culturale per sradicare il sistema patriarcale e vivere finalmente in una società dove tuttɜ possano autodeterminarsi.