Ogni anno diventa meno ovvia la risposta a “Perché celebriamo ancora il 25 Aprile?”, ogni anno la risposta è più complessa e ci chiede di andare a capire ed elaborare quale sia il cuore, il significato più profondo dell’antifascismo.
Dopo due anni dall’inizio della pandemia ci riempie di gioia poter scendere in strada per celebrare la Liberazione, una festa a cui abbiamo dovuto rinunciare per preservare il diritto alla salute della popolazione e soprattutto delle persone più fragili.
Una pandemia che è stata narrata dalla politica come una guerra, con eroi, un nemico invisibile e traditorз, un linguaggio che annienta la possibilità di mettere in discussione le scelte, di avere un dialogo costruttivo tra le parti, che chiede di accettare una costrizione dei diritti in maniera acritica, dando adito poi a novax e no green pass di chiamarsi “i nuovi partigiani” solo perchè si stanno opponendo al governo, senza considerare però che si stanno opponendo a delle limitazioni sì imposte, ma per tutelare i soggetti più fragili, per una visione collettiva in cui non sopravvivono solo i più “forti”. Bisogna sempre mettere in questione le scelte politiche e chiedersi se ci siano delle maniere migliori di fare le cose, ma la maniera in cui si oppone il movimento no vax e no green pass sta svuotando di significato questa parola e la nostra storia.
Si parlava di medicз, infermierз, lavoratorз essenziali in trincea, si elevavano lз singolз a eroi perché gli eroi emergono contro un male assoluto contro il quale non puoi fare niente, ma questa trincea l’hanno scavata anni di governi che hanno smantellato la sanità pubblica e i diritti del lavoro, e nel momento dell’emergenza ci hanno abbandonato al nostro destino, senza attuare cambiamenti strutturali per contrastare davvero la pandemia e senza instaurare politiche di welfare che non si basassero sulla buona volontà di singole persone. Ma un mondo giusto non ha bisogno di eroi.
Il linguaggio bellicista che permea la nostra società, in cui devi essere sempre vincente, forte, performante, porta avanti una visione svilente e mortificante per chi affronta difficoltà economiche, che se non supera, è colpa sua, per chi ha una malattia fisica o mentale, dalla quale se non “guarisce”, se non riesce a nascondere, è colpa sua, per chi se subisce violenza di genere, è colpa sua. Un mondo in cui chi prevarica le altre persone per il proprio guadagno, beneficio, godimento, è vincente e merita lodi, non importa la miseria e il deserto che si fa attorno.
Antifascismo è guardare in maniera critica e attenta il mondo in cui viviamo e dire no ai soprusi, all’eliminazione di diritti, alla violenza, all’odio che continuano ad esserci.
È battersi per dare a tuttз gli stessi diritti, supportare chi si trova in condizione svantaggiata, l’antifascismo è una cultura, un modo di essere, di relazionarsi con il mondo e leggerlo.
Essere antifascista è lottare per la democrazia e contro le oppressioni ogni giorno.
La lotta partigiana era la lotta per un mondo diverso, e spetta a noi realizzarlo.
Oggi, 24 aprile, a esattamente due mesi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, questo mondo sembra un po’ più lontano, e più necessario.
Questa guerra, contrariamente a quello che è stato detto più volte dai media, non è certo la prima guerra in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e non è neanche l’unica guerra in corso nel mondo in questo momento.
L’attenzione mediatica a questa guerra, molto più alta (per ora) rispetto a ogni altro conflitto, fa credere che esistano guerre di serie A e di serie B a seconda della distanza, fisica ed emotiva, del luogo del combattimento rispetto all’Europa. Questo si manifesta anche dall’accoglienza che hanno ricevuto lз profughз ucrainз, a differenza di tuttз lз altrз profughз arrivatз da altri paesi: l’Italia ha dimostrato una grande capacità di accoglienza, ricevendo negli ultimi due mesi quasi 100.000 persone in fuga dall’Ucraina, accoglienza completamente diversa da quella ricevuta dalle 67.000 arrivate invece dal mar Mediterraneo in tutto lo scorso anno. Per quanto più vasta, anche questa accoglienza si basa sul terzo settore e sui singoli, senza nessun sostegno statale, per quanto tempo chi ospita potrà farsi carico di sostenere economicamente le persone che accoglie col carovita che sale ogni giorno?
È importante però notare che questa guerra, a differenza di tutte le altre da cui l’Italia si è arricchita, ha avuto anche delle conseguenze negative sulle nostre vite.
I governi europei, di concerto, hanno reagito a questa guerra con una nuova corsa agli armamenti, promettendo di aumentare la spesa pubblica militare fino al 2% del PIL e cominciando a ipotizzare anche la creazione di un esercito europeo.
Per far fronte all’aumento della spesa militare, il governo Draghi ha già annunciato dei tagli alla spesa per l’istruzione (dal 4% al 3,3% nei prossimi anni), pur essendo noi uno dei paesi sotto la media europea di spese per l’istruzione (5%).
Lo stretto legame del nostro paese e dell’intera Unione Europea con la Russia per quanto riguarda le materie prime fossili ha evidenziato ancora una volta quanto siamo in ritardo per la transizione energetica. Non può essere certo una soluzione quella proposta da Bonomi, presidente di Confindustria, di ritardare ulteriormente il passaggio alle fonti rinnovabili riaprendo le centrali a carbone per poter rinunciare al gas russo.
Tutte le scelte che vengono prese ora, dal nostro governo, dall’Unione Europea e dai vari attori internazionali, diventeranno prassi, disegneranno e rafforzeranno nuove aree di influenza. Nessuna di queste decisioni sembra essere volta alla costruzione della pace, in Ucraina ora e nel mondo nel futuro.
Perché la pace è un processo, è una cultura che si forma nel tempo coinvolgendo tutta la società, la pace richiede ed è complessità, confronto costruttivo per trovare soluzioni che favoriscano l’intera umanità e il pianeta. La pace non è la fine, non è assenza di conflitto armato e non si può mettere da parte una volta che si è raggiunta, perché ci si dimentica troppo facilmente cosa sia davvero la guerra, la pace è il punto di partenza da cui costruire assieme.
Per costruire pace è necessaria la partecipazione dal basso contro la retorica dell’uomo forte al comando, la pluralità contro la censura, per costruire pace è necessario mettere in discussione il potere, le strade prese e cercarne di nuove, per costruire pace è necessaria la democrazia, è necessario l’antifascismo.
Uno dei luoghi dove si può imparare ad immaginare un mondo giusto, a far valere i propri diritti sono i luoghi del sapere, le scuole e le università, dove attraverso la rappresentanza studentesca fin da giovane puoi imparare che la tua opinione conta, che il potere può essere messo in discussione, che hai dei diritti, puoi sviluppare una coscienza collettiva e lottare per il bene comune. È necessario che la scuola dia una cultura antifascista, insegni cosa sia stata la resistenza, insegni cosa vuol dire vivere in democrazia, quali mezzi di partecipazione ci sono, sia un luogo dove sviluppare un pensiero critico, e per diventare ciò deve cambiare radicalmente.
Fascismo, nazismo e colonialismo non possono più essere solo dei temi e dei capitoli del libro di storia, trattati sommariamente, vanno invece discussi profondamente per far sì che l’antifascismo non sia solo uno slogan, ma una pratica che permetta ad ogni persona di sapersi difendere dal fascismo quotidiano.
Per una società realmente libera è necessario opporsi a qualsiasi forma di prevaricazione, come già diceva Umberto Eco, non si può spacciare il pacifismo come collusione con l’aggressore, e quindi abbiamo bisogno anche oggi di nuove pratiche antifasciste.
Combattere la prevaricazione verbale e fisica, opporsi al razzismo e al paternalismo riservato alle persone migranti e razzializzate, praticare il pacifismo e opporsi ad ogni forma di guerra, questi solo alcune delle pratiche che andrebbero discusse e insegnate in tutti i luoghi del sapere.
Non possiamo più essere passivamente contro il fascismo ma attivamente antifascisti.
Ad oggi, il cambiamento necessario per rendere la pace un punto di partenza per immaginare un mondo giusto e capace di opporsi agli attacchi fascisti, non può che partire da scuole ed università. Qui è dove può crescere una nuova società con gli strumenti necessari a combattere il fascismo, ma per fare ciò gli stessi luoghi devono cambiare radicalmente.
Fascismo, nazismo e colonialismo non possono più essere solo dei temi e dei capitoli del libro di storia, vanno invece discussi profondamente per far sì che l’anti-fascismo non sia solo uno slogan ma una pratica che permetta ad ogni persona di sapersi difendere dal fascismo quotidiano.
Per una società realmente libera è necessario opporsi a qualsiasi forma di prevaricazione, come già diceva Umberto Eco, basta spacciare il pacifismo come collusione col nemico per essere fascisti e quindi abbiamo bisogno anche oggi di nuove pratiche anti-fasciste.
Per questo crediamo che anche oggi serva parlare di fascismo nei luoghi del sapere, con lo scopo di imparare a riconoscerlo e ad avere anche nel personale la capacità di combatterlo.
Combattere la prevaricazone verbale e fisica, opporsi al razzismo e al paternalismo riservato alle persone migranti e razzializzate, praticare il pacifismo e opporsi ad ogni forma di guerra, questi solo alcune delle pratiche che andrebbero discusse e insegnate in tutti i luoghi del sapere.
Non vogliamo più essere passivamente contro il fascismo ma attivamente antifascisti.