Anche il lavoro è una questione di genere?

*Nota: Questo articolo utilizza riferimenti e parametri strettamente binari rispetto al genere, perché è l’unica forma di dati disaggregati per genere che esistano presso l’Istat. Non si vuole in alcun modo escludere le esperienze delle soggettività non binary e transgender.

Il 2020 è stato un anno difficile per chi lavora, e il 2021 non promette meglio, quindi vogliamo darvi un po’ di dati, per inquadrare alcuni aspetti del mondo del lavoro in Italia.

In Italia la popolazione tra i 15 e 64 anni che lavora corrisponde al 63%, una decina di punti percentuali in meno rispetto alla media europea.

Di questз, il 58% sono uomini e il 42% sono donne, che, benché ci sia un notevole distacco tra i due, non sembra nemmeno così tanto, sappiamo come sia il paese in cui viviamo, tutto sommato è meglio di quanto ci aspettassimo… o forse no?

Le donne infatti sono di più numericamente degli uomini: se di un Gruppo A di 10 persone lavorassero tutte e 10, e di un Gruppo B di 1000 persone ne lavorassero 10, la forza lavoro sarebbe composta al 50% di A e al 50% di B, ma non sarebbe equo. E infatti, se si va a vedere il tasso di occupazione per genere, gli uomini sono al 72.9%, le donne al 53%!

Se si va a scavare e guardare il tasso di occupazione per genere e per livello di istruzione, le cose si fanno ancora più interessanti. 

Ma andiamo passo passo.

Guardando il livello di istruzione massimo raggiunto, si nota come le donne tendenzialmente abbiano un livello più alto degli uomini, perché?
Perché esiste lo stereotipo che le donne siano più brave a scuola, mentre i maschi è normale che siano più portati per i lavori manuali, quei tipi di lavori per cui non è necessaria una laurea.
È ancora diffusa, quindi, la credenza che studiare gli uomini non sia fondamentale perchè “un lavoro lo trovano comunque”.
Quindi, se un nucleo familiare deve scegliere se mandare il figlio o la figlia a lavorare e interrompere gli studi, chi manda? Il figlio.*

*Hey uomini, il femminismo serve anche  voi 😉

Quindi abbiamo una popolazione con diploma (o licenza elementare o media) prevalentemente maschile, e una popolazione laureata prevalentemente femminile, eppure, gli uomini hanno un tasso di occupazione sempre più alto!
Abbiamo un numero fisico di donne laureate lavoratrici più alto degli uomini (500.000 in più), eppure il 74.4% delle donne laureate lavora, contro l’83% degli uomini.

E ora è il momento di inserire un altro dato, perché guardando solo i livelli di istruzione non sembra così male, no? In Italia il 24.6% delle persone è sovra istruita per il proprio lavoro. Un quarto della popolazione è sovra qualificata (e, come sempre, per le donne va peggio, 26.3% contro il 23% degli uomini) e tra i giovani questa percentuale è aumentata del 10% negli  ultimi 10 anni.
Continuiamo a studiare per non trovare un lavoro per il quale abbiamo studiato.

E se già questi dati non sono incoraggianti, guardiamoli pre e post covid.

Nonostante il blocco dei licenziamenti, tra febbraio 2020 e febbraio 2021 si è perso quasi un milione di posti di lavoro (945.000 per l’esattezza), il 2,2% dellз occupatз. Per l’Istat infatti anche tuttз coloro che son stati in cassa integrazione per più di tre mesi di fila (o sono lavoratorз autonomз che non hanno lavorato per più di tre mesi) non compaiono tra lз occupatз, per rendere questi dati più aderenti alla situazione reale. 

La categoria più colpita è sicuramente quella giovane: il tasso di disoccupazione dellз under 24 ha superato il 30%, aumentando di quasi 3 punti percentuali rispetto al 2020 e sono aumentatз del 3% anche lз inattivз, ovvero le persone senza lavoro e che non stanno cercando lavoro. 

Anche per la fascia 25-34 le cose non vanno meglio: lз occupatз sono diminuiti del 4% e lз inattivз son cresciuti dell’8%. 

L’altra categoria particolarmente colpita sono le donne: andando a considerare i posti di lavoro persi nel 2020 (quindi escluse le cig, 444.000 persone): più del 70% delle persone che hanno perso il lavoro, erano donne, circa 312.000 persone. In parole povere, una donna giovane ha le più alte probabilità di perdere il lavoro rispetto a ogni altra categoria di lavoratorз. 

Ma come mai le donne e lз giovanз sono le categorie più svantaggiate? 

Per quanto riguarda lз giovanз si tratta di lavoratorз estremamente precarз, con contratti a tempo determinato, stage e tirocini

Per quanto riguarda le donne, un elemento fondamentale è il cosiddetto lavoro di riproduttivo, in particolare, il lavoro di cura.

Cosa si intende con questi termini?

Lavoro riproduttivo: da Wikipedia, “si riferisce tanto al lavoro necessario per la riproduzione umana realizzata dalla donna come la gravidanza, il parto, l’allattamento, come all’insieme di attenzioni e cure necessarie per il sostentamento della vita e della sopravvivenza umana: alimentazione, cure fisiche e sanitari, educazione, formazione, relazioni sociali, appoggio affettivo e psicologico, manutenzione degli spazi e dei beni domestici. Il lavoro riproduttivo è realizzato maggiormente dalla donna. Si chiama lavoro riproduttivo per differenziarlo del lavoro produttivo diretto a beni e servizi. Rispetto al lavoro produttivo, salariato e riconosciuto socialmente nelle società industrializzate, il lavoro riproduttivo non si riconosce né economicamente, né socialmente.”

Lavoro di cura: sempre dall’amica Wikipedia, “pratiche di lavoro domestico non formale svolte a favore di soggetti non autosufficienti, come bambini, anziani e disabili. Questo particolare tipo di lavoro comprende una serie di attività che spesso non vengono riconosciute socialmente né economicamente e che hanno luogo nell’ambito delle relazioni familiari. […] Questo lavoro svolto dalle donne all’interno della propria famiglia non è un lavoro di mercato, e non è socialmente riconosciuto come tale. La “conciliazione” tra lavoro formale e responsabilità di cura è uno dei fattori che determinano la differenza salariale tra uomini e donne. Si stima che, in Italia, le donne percepiscono un reddito annuo tra il 50 e il 70% dello stipendio medio degli uomini. Le donne tendono infatti a dedicare al lavoro formale meno ore degli uomini. Ciò avviene a causa del fatto che il lavoro di cura le porta a privilegiare il part-time e ad essere meno disponibili al lavoro straordinario.”

Le donne infatti tendenzialmente devono sobbarcarsi la maggior parte del lavoro di gestione della casa: dalle pulizie, alla spesa, alla cura dei figli e dei parenti anziani, sono tutte mansioni prettamente femminili nel nostro immaginario.  In un anno dove per molti mesi le scuole sono state chiuse e la maggior parte dei membri della famiglia si son ritrovati a casa per tantissime ore al giorno, questo carico di lavoro è aumentato notevolmente. 

Inoltre, sempre per far fede all’immagine della donna angelo del focolare, moltissimi dei posti di lavoro persi nel 2020 da donne erano lavori nel settore domestico e dei servizi, dove lз lavoratorз sono prevalentemente donne e con contratti poveri di tutele. 

La pandemia non ha rivelato nuovi problemi, ma ha fatto da amplificatore a una situazione già esistente. Non dobbiamo sperare in un ritorno alla normalità precovid: quella normalità era parte del problema! 

Ad esempio, quante sono le probabilità che sarà un uomo ad accettare senza pensarci due volte un aumento di posizione che prevede un quantitativo maggiore di ore di lavoro? E gli straordinari? E un posto di lavoro migliore, ma più lontano da casa (e che quindi occuperà tempo in macchina o sui mezzi, invece che dedicarlo alla famiglia e alla gestione della casa)? 

È necessario quindi combattere le discriminazioni di genere nel mondo del lavoro affrontando il problema alla radice: dal part-time involontario al gender pay gap, dal riconoscimento del lavoro riproduttivo al giusto salario per chi svolge lavoro di cura fuori dal proprio nucleo familiare (badanti, colf, pulizie, babysitter, insegnatз dell’asilo e dell’infanzia, infermieri, operatorз socio-sanitari, etc.) 

Nell’immaginare il mondo dopo la pandemia, dobbiamo reimmaginare il mondo del lavoro.