Siamo ormai ampiamente dentro quella che è stata definita dalle istituzioni la “ripartenza” delle scuole. Una ripartenza molto discutibile e problematica, con ancora la maggior parte delle lezioni svolte a distanza in Lombardia, con una percentuale sempre maggiore di dispersione scolastica e, nonostante tutto, con un costante aumento dei contagi, che ritornano ai livelli del lockdown. Insomma, la situazione in cui stanno versando le scuole in questi mesi è forse la più drammatica che si sia vista dal dopoguerra in Italia.
Le problematiche che sono venute a galla con l’emergenza però non sono altro che quelle del periodo pre-covid: si sono solamente amplificate e aggravate. Dai manchevoli e precari spazi nelle scuole alle questioni legate alla mancanza di un diritto allo studio realmente garantito, dalla didattica frontale ed escludente al problema della valutazione numerica, vediamo il delinearsi di un modello di scuola, che ricalca completamente quella che era l’idea di istruzione malata che già conoscevamo prima del covid, che ne peggiora e acuisce ogni lato negativo. Come faccio infatti a mantenere distanze di sicurezza, se nella mia classe di 20 metri quadri siamo in 25? A cosa serve il distanziamento nei corridoi, se poi dobbiamo tutti uscire o entrare allo stesso orario e tornare a casa sui rari autobus pieni di gente?
Ad oggi inoltre governo e regioni, pur scontrandosi sulla chiusura delle scuole, mantengono entrambi la linea comune di definanziamento della scuola pubblica, a cui sono riservati gli ultimi posti per quanto riguarda i progetti di amministrazione dei fondi governativi ed europei: nessuna istituzione, durante il lockdown e durante l’estate, si è preoccupata di porre rimedio alle enormi problematiche riguardanti la già “normale” situazione delle scuole, nè di preparare un reale rientro nelle classi in sicurezza e in presenza.
Al contrario, il governo ha lasciato la responsabilità ai singoli presidi, in virtù dell’escludente sistema dell’autonomia scolastica, scagliandosi poi ad accusare i giovani (e quindi anche studenti e studentesse) per l’aumento dei contagi, evidentemente causato perlopiù dal disinteresse delle istituzioni stesse per quanto riguarda un reale rientro in sicurezza.
A causa delle varie problematiche dovute all’insufficienza e, anzi, alla dannosità dei provvedimenti presi da governo e regioni, ci ritroviamo quindi in questi giorni ad osservare un pauroso aumento dei contagi anche nelle scuole, luoghi che vantavano fino alla settimana scorsa solo lo 0,08% dei contagi totali.
Va in questo modo a formarsi un nuovo tipo di ricatto sociale legato alla contrapposizione creatasi fra diritto allo studio e diritto alla salute: un ricatto che si traduce nelle parole “vai a scuola e prendi il covid, lascia la scuola e rimani in salute”. Ma che salute reale può esistere senza la salute mentale e senza il sapere? L’ignoranza non è forse una delle malattie più contagiose del nostro tempo? Ecco perché questo ricatto è troppo pericoloso per potersi permettere di farlo durare ancora a lungo: la scuola deve essere un luogo sicuro e attraversabile, soprattutto ora.
Ma, al contrario, eccoci arrivati al punto in cui le regioni stanno chiedendo al governo di chiudere le scuole per contenere i contagi, pur mantenendo aperte la maggior parte delle fabbriche e delle attività produttive, perlopiù mai chiuse neanche durante il lockdown.
La posizione di noi studentesse e studenti che rivendicano i propri diritti in questo senso deve ovviamente essere quella della priorità della scuola rispetto a qualsiasi attività produttiva: prima di chiudere la scuola chiudete tutto il resto!
Inoltre, con gli ultimi provvedimenti presi dal governo (col nuovo DPCM) e dalla regione, vediamo essere attaccati quasi solamente la scuola, lo sport e la socialità come ambiti da limitare per l’abbassamento dei contagi, quando in realtà la stragrande maggioranza dei casi nascono da realtà come quelle dei trasporti, degli uffici, dei magazzini, e delle fabbriche: si ribadisce dunque la scarsissima importanza che è data a cultura e socialità nella nostra società.
La nostra posizione deve quindi essere in grado di modellarsi solo nel caso in cui sia realmente necessario chiudere qualsiasi attività sociale: solo in quel caso potremmo accettare una completa chiusura delle scuole, consapevoli comunque che quest’ultima dovrà necessariamente essere sfruttata dalle istituzioni per risanare le enormi falle presenti all’interno del sistema scolastico, riuscendo a garantire al più presto una riapertura completa degli istituti.
Per questo è importante chiederci quale modello di scuola sia giusto rivendicare e quale alternativa di istruzione necessitiamo realmente in questo momento.
COSA DEVONO FARE REGIONE E PROVINCIA PER RISANARE LE FALLE DEL SISTEMA SCOLASTICO E COSA RIVENDICHIAMO
Le principali problematiche che ci troviamo a vivere nelle nostre scuole sono generalmente riconducibili a una politica ormai decennale di tagli all’Istruzione Pubblica e a una conseguente costruzione delle città in una maniera del tutto emarginante per i soggetti in formazione; a partire dal diritto allo studio che viene ad oggi indirettamente minato da più lati: per quanto concerne i soldi richiesti direttamente allo studente abbiamo i famosi contributi volontari-obbligatori, i costi esorbitanti dei libri di testo e dei materiali, e dei costi escludenti anche per quanto riguarda qualsiasi attività extrascolastica, etc…, mentre al di fuori dell’ambito direttamente legato alle spese dello studente troviamo poi quelli che sono i due grandi temi dell’edilizia scolastica e dei trasporti.
Per quanto riguarda l’edilizia, è ormai da così tanto tempo che sentiamo parlare di scuole allagate e soffitti caduti, che neanche ci stupiamo più delle strutture fatiscenti in cui ci ritroviamo a passare la nostra vita scolastica. Inoltre, con il covid, la totale mancanza di aule adeguate al numero di student e l’inospitalità degli spazi, in cui questi sono stipati senza alcun reale distanziamento fisico, è stato uno dei principali motivi di diffusione del covid all’interno delle scuole.
Sull’edilizia dobbiamo quindi rivendicare alla provincia e alla regione la messa a punto di un concreto e capillare progetto di riutilizzo di spazi e locali abbandonati, spesso dentro o vicino alle scuole, con una ristrutturazione degli spazi già utilizzati, e un ripensamento della formazione delle classi in funzione di un abbassamento del numero spesso troppo alto di studentesse e studenti presenti nelle singole aule.
I trasporti sono un altro tema che tocca da vicino la garanzia del diritto allo studio: da anni, a livello regionale, atm e trenord speculano sui servizi di trasporto con un gioco tra pubblico e privato che sacrifica l’efficienza dei mezzi stessi in favore del profitto di pochi. Di fatto ci ritroviamo con provincie e periferie dove autobus e trasporti passano due o tre volte al giorno, pur essendo la Lombardia la prima regione italiana per cementificazione stradale.
Infine uno dei problemi principali che si è rivelato col covid è la completa insufficienza del numero di corse di treni e mezzi di superficie, e la loro inefficienza: in questo modo ci troviamo spessissimo con mezzi carichi di persone in cui risulta impossibile mantenere il distanziamento fisico…
È dunque necessario rivendicare nei tavoli di contrattazione mezzi pubblici che siano gratuiti per tutte e tutti, e soprattutto richiedere un grande investimento per quanto riguarda l’aumento delle corse dei trasporti, in vista di una relativa diminuzione dei contagi (i trasporti sono infatti uno dei principali luoghi di diffusione dei contagi, proprio a causa della loro inadeguatezza strutturale).
Tutti questi provvedimenti sono necessari per poter realmente affermare l’esistenza sostanziale del diritto allo studio nella nostra regione e nella nostra città: un altro elemento che, al contrario, mina nuovamente questo diritto alla base è quello della Didattica a Distanza, recentemente rinominata DDI (Didattica Digitale Integrata), che lascia senza alcun tipo di accesso alle lezioni migliaia di studenti ancora adesso.
Quanti sono infatti coloro che possiedono a casa una propria rete wifi funzionante? E quanti hanno in casa un proprio PC e uno spazio adeguato dove mettersi per seguire la DAD, contando anche la presenza, in un nucleo abitativo, di fratelli, sorelle o genitori, che hanno anche loro bisogno di collegarsi alla DAD o allo smart working?
Sono problematiche che derivano direttamente da un’organizzazione del tutto classista ed escludente della DDI.
Inoltre con la didattica a distanza in molte scuole le lezioni sono state sparse per tutto le ore della giornata, a maggior ragione dopo il nuovo decreto ministeriale che sollecita lo spostamente delle lezioni al pomeriggio, con il risultato di una istruzione ancora più invasiva e repressiva per quanto riguarda la vita privata di ogni individuo e con un conseguente aumento della percentuale di persone che abbandonano la scuola.
La didattica digitale riconferma poi quel modello di apprendimento che sta alla base del nostro sistema scolastico: quello frontale e passivo, scandito dai meccanici passaggi di spiegazione, memorizzazione delle nozioni, verifica dell’apprendimento e infine premio o punizione tramite il voto.
Noi vogliamo che la priorità venga data alla scuola della partecipazione, non a quella della passività e della meritocrazia: la DAD non è una scusa per distruggere qualsiasi esperimento di didattica alternativa già avviato o in progetto nelle scuole, e non è una scusa neanche per negare quei già pochi momenti e spazi di socialità negli istituti.
Noi rivendichiamo una riforma generale della didattica in modo tale che la partecipazione di studentesse e studenti sia alla base delle lezioni e della vita scolastica, così da creare un diverso modo di crescita che sia collettivo e non individuale e meritocratico.
Inoltre chiediamo a scuole, Comune e Provincia di mettersi a disposizione di studentesse e studenti bisognosi PC e spazi dotati di rete wifi per seguire la Didattica a Distanza, e che vengano formate o amplificate le reti wifi delle singole scuole, così che la DAD non risulti essere quello strumento di distruzione del diritto allo studio che è stata finora.
Ecco quindi qual è la ripartenza che ci immaginiamo, la ripartenza dei diritti e della lotta per ottenerli, perché non c’è nessuna riapertura e nessun salvataggio se ad essere sacrificati sono i più deboli e non vi è nessuna scuola senza noi, studentesse e studenti.
FACCIAMOCI SENTIRE, QUI ED ORA PER IL NOSTRO FUTURO!
FACCIAMOCI SENTIRE IL 23 OTTOBRE A MILANO E IN TUTTA ITALIA!
@UDS_MILANO