Sanità Lombarda: un problema strutturale

Durante l’emergenza sanitaria dovuta al COVID-19, a causa del carico improvviso di lavoro, si sono palesati una serie di problemi che l’organizzazione della sanità lombarda ha da anni e i quali, nonostante la retorica dell’eccellenza che la circonda, sono strutturali.

Si è assistito negli ultimi decenni ad un sistematico definanziamento della sanità pubblica, portato avanti da partiti politici di ogni colore e orientamento, favorendo il fiorire di reparti super specialistici incentrati su servizi “d’eccellenza” ma indirizzati ai pochi che se lo possono permettere. 

Questa condizione ha avuto una serie di effetti a cascata che alle volte non si considerano strettamente collegati anche se lo sono: 

  1. una carenza sistematica di sanità territoriale, il drastico aumento dei tempi di attesa per servizi anche banali;
  2. un conseguente intasamento dei pronto soccorsi con codici bianchi di persone che sanno quanti mesi possono risparmiare venendo trattate direttamente dall’ospedale. 

Altri effetti di questo disequilibrio si vedono nelle forti differenze tra campagne e città, con un numero sempre maggiore di persone che sanno di non poter essere trattate se non a Milano, spesso nemmeno nelle città capoluogo di provincia. Si sente spesso parlare di eccellenza riguardo il sistema sanitario lombardo quando in realtà si intende specializzazione, con metodico abbandono della medicina “di mantenimento”, quella dei piccoli paesi, dei medici di medicina generale.

Anche nelle scuole si è reso evidente come il modello di sviluppo che da anni ormai si sta perseguendo non è stato capace di arginare quella che è stata la fase pandemica e post pandemica come invece è successo in molti altri Stati. Gli elementi critici sono vari e sostanziali, contro cui lottiamo da anni, chiedendone la risoluzione e avanzando proposte. Primo fra tutti il problema delle classi pollaio.

Le classi pollaio sono un’ “eccellenza” del nostro Paese, poche altre nazioni in Europa, infatti, possono vantare il livello di sovraffollamento che si individua nelle classi italiane e che è stato alla base del mancato rientro nelle aule. Il fenomeno delle classi pollaio pone in primis delle problematiche sanitarie ma non solo, infatti, in questi anni, la didattica è stata distrutta a causa dell’elevato numero di alunni per classe.
Una didattica che è stata totalmente spersonalizzata e che concepisce ormai gli alunni come numeri senza volti e come secchi da riempire di nozioni senza capacità critica.

Un altro problema rilevatosi durante l’emergenza COVID è legato al fatto che la scuola, come anche il nostro sistema sanitario, si concentra sul fare sopravvivere lo studente ma non sul farlo vivere con serenità all’interno dell’ambiente scolastico e ciò viene dimostrato dalla scarsissima attenzione, per esempio, alla presenza di figure come psicologi o figure consultoriali. È necessario che il sistema, scolastico e sanitario, non si interessi solamente alla sopravvivenza della persona, ma anche alla possibilità, per essa, di vivere una vita nel benessere in modo da poter dare il suo contributo alla collettività.

Infine, questa emergenza, ha fatto emergere come ancora l’educazione alla salute nelle scuola sia fondamentale ma risulta ancora estremamente inadeguata svolgendosi all’interno di percorsi che non riescono davvero a sviluppare una consapevolezza rispetto ai temi trattati ma solo una base nozionistica spesso svuotata di significato come accade per l’educazione sessuale che ancora troppe volte non tratta di temi come il piacere o le relazioni non eteronormate, risultando, così, non solo monca, ma priva della sua base più sostanziale.

La prevenzione non si ferma negli anni della formazione scolastica, essa deve necessariamente comprendere il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro. Non solo l’elevato numero di morti sul lavoro è inaccettabile ma anche gli ambienti in cui le persone lavorano sono insalubri. Costringendo i lavoratori e le lavoratrici a rinunciare alla loro salute per lavorare e potersi mantenere. La salute è un diritto che troppo spesso viene sacrificato per il profitto dei pochi avvantaggiati dal sistema economico contemporaneo.

Un altro aspetto che si collega alla sostenibilità del sistema sanitario e della società tutta è l’invecchiamento della popolazione. Con un’aspettativa di vita sopra gli 83 anni l’Italia è uno dei popoli più vecchi di tutta Europa.
Ciò ha svariate conseguenza, le fasce d’età più anziane sono quelle che hanno una maggiore necessità di assistenza sia per quanto riguarda patologie e malattie che richiedono interventi chirurgici o medicinali ma anche assistenza e aiuto nel quotidiano.
In una società con un’impronta fortemente familistica come quella italiana spesso la cura ricade sulle famiglie che, se dispongono di risorse economiche sufficienti, la esternalizzano assumendo collaboratori e collaboratrici familiari (colf) spesso in nero e sottopagate.

Le Case di Riposo e le RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), che potrebbero essere da supporto alle famiglie e agli anziani soli, sono principalmente private in quanto i posti nelle strutture pubbliche, che hanno costi più accessibili, sono ad oggi molto limitati non rappresentando così una forma di supporto reale e strutturale.

Quando parliamo di una riforma del sistema sanitario intendiamo quindi un processo complessivo che passa dalla prevenzione, la valorizzazione del territorio e la medicina generale, una reale sicurezza nei luoghi di lavoro e la tutela dei lavoratori compresi quelli che operano nella sanità stessa come i medici in formazione e infermieri, infermiere, operatori e operatrici socio sanitario che spesso sono assunti tramite agenzie esterne di somministrazione del lavoro con contratti a termine e malpagati.
Intervenire su aspetti marginali o parziali del nostro sistema sanitario mantenendone però la struttura e le strategie di sviluppo non farà che posticipare il momento in cui un ripensamento generale dello stesso andrà fatto, pena il suo collasso. Fino a quel momento le disparità tra ceti sociali nella sanità non faranno che aumentare e se dovesse tornare una nuova ondata di COVID-19 oppure comparire una nuova malattia infettiva, saremmo nella stessa situazione: impreparati, nel panico.