La riforma del sistema di contribuzione studentesca: passi in avanti e nodi da sciogliere.

La regolamentazione della tassazione universitaria costituisce l’ossatura stessa del modello di ateneo che si sceglie di adottare, se non altro per l’incisività con cui essa va ad impattare sull’accessibilità dello stesso a tutti gli studenti e, va da sé, in particolare per quelli delle fasce meno abbienti. La prospettiva di una riforma del sistema di contribuzione studentesca, dunque, non può che essere, per noi, di primario interesse, specie se di ampio respiro e se improntata al raggiungimento di una maggiore progressività.

La nostra idea di università è ispirata dall’idea, un tempo quasi utopica ma sempre più percepita come possibile, della gratuità totale dell’istruzione universitaria, a partire da una semplice considerazione: la formazione accademica è un diritto di tutti e tutte oltre ad avere ricadute positive non solo verso la tutta la comunità nel suo complesso. Deriva da tale principio, quasi naturalmente, l’idea che il sostentamento degli atenei debba reggersi sulle fonti di finanziamento statale e, dunque, sulla fiscalità generale, che deve essere regolata dal criterio principe di una forte equità e decisa progressività.

Per quanto il dibattito pubblico sul tema abbia conosciuto, negli ultimi anni un seppur timido avanzamento, appare purtroppo chiaro quanto questi nostri propositi siano di difficile applicazione, soprattutto senza la necessaria e sistematica revisione dell’apparato fiscale nel suo complesso, andando così a esulare dalla sfera di competenza del singolo ateneo. Da questa realtà si deve partire per comprendere, considerati i limiti intrinseci di una riforma interna alla nostra università, quanto la prospettiva di una modifica del regolamento che, seppur senza stravolgerne l’impianto, riesca ad accentuarne le caratteristiche di progressività andando a diminuire il carico posto alle fasce di reddito più basse rappresenti un deciso passo in avanti.

Restano però dei nodi che difficilmente verranno sciolti da questa riforma che, è bene sottolinearlo, non possono essere considerati solo come secondari se davvero si intende parlare di università accessibile a tutte e tutti: tra questi i meccanismi di premialità – e penalità – e la differenziazione delle aliquote in base all’area di studio e il meccanismo previsto per gli studenti stranieri. Affrontiamoli con ordine.

Caratteristica del nostro, come anche di altri sistemi di tassazione universitaria, è quella di prevedere sgravi per gli studenti meritevoli e penalità, anche pesanti, per quegli studenti e quelle studentesse che vengono a trovarsi in una situazione di ritardo rispetto ai tempi previsti per il completamento del percorso di studio. Non mancando valide alternative per valorizzazione dei meritevoli, e ci sarebbe qui da discutere sulla definizione di tale concetto, appare quantomeno improprio l’utilizzo del sistema di contribuzione, già di per sé necessario, a nostro avviso, perché diretta conseguenza della mancanza di finanziamenti e dell’inadeguatezza del sistema di fiscalità generale, venga addirittura utilizzato in maniera così smaccatamente regressiva, specie se si considera quanto i vari ritardi siano spesso legati a situazioni economiche tali da sottrarre tempo prezioso alla carriera accademica.

Altro aspetto fortemente contrario ai principi di equità e progressività è, palesemente, rappresentato dalla sopracitata “fasciatura”, sistema per il quale il contributo richiesto viene ad essere nettamente più gravoso per coloro i quali scelgono corsi di indirizzo scientifico, ponendo in essere, già al momento dell’accesso ai corsi, un elemento di discriminazione non indifferente per gli studenti delle diverse fasce di reddito.

Ultimo, ma non ultimo, viene il sistema della tassazione per gli studenti stranieri o, stando alla lettera del regolamento, per gli studenti con reddito maturato all’estero.  Non sembra, infatti, essere messo in discussione il meccanismo secondo cui, in base ad una divisione in tre gruppi secondo il valore degli indicatori economici, la studentessa o lo studente si trova dover versare una quota fissata in base al paese di provenienza, indipendentemente dalla propria condizione economica. La natura distorsiva di tale impianto appare in tutta sua evidenza e, se nei punti sopra elencati la soluzione sta nella costruzione di una progressività sempre più marcata, in questo caso, invece, bisogna lavorare più che per la ricerca e messa in atto di parametri che tengano conto della condizione economica del singolo studente, andando così ad evitare le storture proprie di un sistema così superficialmente costruito.

In conclusione, non possiamo che considerare positivamente una riforma capace di passi in avanti sul tema della progressività e della tutela delle situazioni economiche più a rischio ma non possiamo, tuttavia, considerarlo un punto d’arrivo quanto, piuttosto, la dimostrazione di quanto il tema della contribuzione studentesca debba ancora oggetto di dibattito e confronto, in quanto elemento cruciale nella costruzione di un’università sempre più a misura di studentesse e studenti, accessibile a ciascuno indipendentemente dalle condizioni economiche di partenza e da qualsiasi altro elemento di ingiusta discriminazione.