Come aprire un CPR senza dirlo a nessuno

Da oltre quattro mesi Matteo Salvini non è più al Viminale. Col passaggio da governo “giallo-verde” a “governo giallo-rosso”, molti prospettavano un cambio di rotta soprattutto per quanto riguardava le tematiche cardine del programma leghista, politiche migratorie in primis. Gli elogi diretti a Luciana Lamorgese non sono mancati, un’ex-prefetto che parlava poco e lavorava molto. In tanti la dipingevano come l’elemento di svolta dopo l’esperienza salviniana.

Già a settembre però qualcuno sospettava che questo “cambio di colori” non avrebbe portato grandi cambiamenti, soprattutto nei campi in cui il Partito Democratico nel corso degli anni aveva fatto danni tanto quanto la Lega.
Arrivati a dicembre, possiamo dire che avevamo proprio ragione noi.

Nel giro di qualche mese la fantomatica “emergenza migranti” è diventata un tema di secondo piano. L’esecutivo si esprime relativamente poco sul tema, dal Ministero dell’Interno arrivano dichiarazioni scarne e poco diffuse dai mezzi di informazione. Lontano dai riflettori però, stanno succedendo un sacco di cose a dir poco preoccupanti.

Già a settembre la Lamorgese iniziava a dare segnali che tutto suggerivano meno che l’avvento di un periodo di discontinuità, sia con dichiarazioni decisamente opinabili (“Più umanità, ma i porti restano chiusi”) che astenendosi dal parlare di modifiche all’impianto normativo delle politiche migratorie italiane. Nelle settimane successive, senza fare troppo rumore, il Governo ha dato un’importante accelerata alla realizzazione del progetto che due anni fa Marco Minniti presentava come una delle “soluzioni” alla questione immigrazione: l’apertura di almeno un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) in ogni regione d’Italia.

Il 16 dicembre a Gradisca d’Isonzo è stato aperto un CPR, realizzato convertendo lo stabile di un’ex caserma militare. Per il 18 dicembre, giorno in cui una grossa rivolta dei detenuti ha reso parzialmente inagibile il CPR di Torino, era prevista l’apertura del Centro di Macomer, ricavato dalla struttura di un ex carcere di massima sicurezza (non sorprende che i lavori di ristrutturazione e riconversione siano durati relativamente poco). L’apertura è stata poi rimandata a causa di una richiesta di aggiunta al contratto d’appalto presentata dalla società che si è aggiudicata la gestione del CPR, la ORS Italia.

Il caso di Macomer è emblematico per comprendere la gravità della situazione: i lavori di ristrutturazione si sono svolti in condizione di massima segretezza, la notizia dell’apertura (e del successivo rinvio) sono passate completamente inosservate e ad oggi si può solo dire che appena la Corte dei Conti si esprimerà sulle modifiche al contratto con la ORS anche la Sardegna avrà il suo CPR.

E a Milano? Cosa succede nella capitale italiana del progresso e dell’internazionalizzazione? Da un anno a questa parte l’intenzione del Ministero dell’Interno di aprire un CPR in Via Corelli è di pubblico dominio. Sotto il governo Conte I, quando la questione migratoria era forse l’argomento prediletto dal dibattito pubblico, la città reagiva all’apertura del bando di gara per l’assegnazione della gestione del CPR scendendo in strada numerosa: Salvini era un personaggio ingombrante e facilmente individuabile come il nemico a cui indirizzare le proteste di piazza (giustamente).
Oggi la popolazione milanese sembra più tranquilla: la Lamorgese è lontana dai riflettori e il sindaco Sala rassicura tutti dicendo che Corelli “non diventerà un centro di detenzione”.

Peccato che proprio in questo momento di silenzio mediatico è successo qualcosa di grosso: il 12 dicembre una cordata composta da una società di Vercelli e una di Vasto si sono aggiudicate il contratto per la gestione del CPR di Corelli. E chi lo sapeva? A quanto pare solo la Prefettura: nessuno ha dato la notizia, il 13 dicembre è comparso l’avviso di aggiudicazione nella sezione bandi di prefettura.it e poi il silenzio. Il Viminale ha avuto anche a Milano quello che voleva: la struttura del CPR è pronta e nascosta in una zona poco frequentata, la gestione è stata assegnata, l’amministrazione comunale non apre bocca e i cittadini non sanno più cosa succede.

Fa male constatare che i giochi sembrano fatti. Domenica scorsa la rete regionale NoCpr ha organizzato un’azione di protesta in Piazza Duomo per raccontare alla popolazione ciò che i mezzi d’informazione non raccontano più da tempo: nella città in cui “l’odio non ha futuro” (per citare il raduno di sindaci organizzato da Sala il 10 dicembre), hanno futuro i CPR. E con loro la detenzione senza reato e la sospensione dei diritti individuali. Dei lager all’italiana.
La rete ha poi lanciato un’assemblea regionale che si terrà il 18 gennaio a Milano, un momento in cui riorganizzare la protesta e la resistenza all’apertura dei CPR in Lombardia e in tutta Italia.

Tutto sommato mi sa che aveva ragione chi diceva che il governo giallo-rosso sarebbe stato tutta un’altra cosa rispetto all’esecutivo precedente, che la Lamorgese sarebbe stata molto più brava di Salvini. Molto più brava sì, ma a fare buon viso a cattivo gioco e proseguire imperterrita sulla strada dell’emarginazione degli immigrati più poveri iniziata vent’anni fa e intensificata nell’ultimo quinquennio.

Questo mese di dicembre ci ha fondamentalmente regalato tre nuovi CPR. Se è vero che a Natale siamo tutti più buoni, siamo messi davvero male. Dobbiamo opporci con ancora più convinzione, non ci sono alternative.